Grazie all’impegno dell’Eni, guidata dall’AD Claudio Descalzi, con la tecnologia Ecofining l’ex petrolchimico di Porto Marghera rappresenta oggi il primo caso al mondo di riconversione al verde di una raffineria tradizionale e con l’installazione di una nuova unità è prevista nel 2015 una super produzione di 500mila tonnellate di diesel, nafta e gpl “green”

Porto Marghera, capitale italiana del petrolchimico, punta sui nuovi carburanti a basso impatto ambientale. La bioraffineria Eni lavora già a un ritmo di 360mila tonnellate annuali di diesel, nafta e gpl “green”, e nel 2015 – quando entrerà pienamente a regime, con l’installazione di una nuova unità di produzione idrogeno – toccherà quota 500mila. Si tratta del primo caso al mondo di riconversione al verde di una raffineria tradizionale. Potrebbe non rimanere l’unico, se produrre carburanti a minor impatto ambientale si rivelerà, oltre che eticamente valido e rispettoso di protocolli e direttive comunitarie, anche economicamente vantaggioso, per chi distribuisce e per chi consuma. Da qui, insomma, non si scappa: quella per un mondo più pulito è una battaglia da giocare sul piano della convenienza, più che su quello dei buoni propositi. La risposta dell’Eni, amministrata da Claudio Descalzi, sembra averla trovata nella tecnologia proprietaria Ecofining, sviluppata in collaborazione con la multinazionale americana Universal Oil Products (Uol). Rispetto al processo per produrre il biodiesel convenzionale, viene impiegato, assieme a materiale biologico, anche l’idrogeno. E questo, volendo, sembra il tallone d’Achille dei biocarburanti 2.0, almeno a livello di costi di trattamento. In compenso non bisognerà più importare metanolo e tra i prodotti di scarto della lavorazione non si avrà più a che fare con la glicerina, mai troppo semplice da smaltire. Il risultato, a livello ambientale, si sentirà: lo stabilimento di Porto Marghera, quando verrà completato il processo di conversione in bioraffineria, dimezzerà le emissioni di ossidi di azoto, ridurrà ai minimi termini (-94%) quelle di diossido di zolfo, abbattendo anche polvere sottili e monossido di carbonio (rispettivamente -70% e -35%). La tecnologia, poi, permetterà in futuro di abbassare anche il consumo della materia prima vegetale (inizialmente olio di palma, certificato a norma europea) a vantaggio di cariche di seconda e terza generazione: grassi animali, oli esausti di cottura e scarti dal ciclo agricolo. Intanto, il green diesel è già stato sperimentato dalla Marina Militare Italia, che – prima in Europa – ha rifornito le proprie navi del gasolio ricavato dalle biomasse vegetali, proprio in occasione di un’esercitazione antinquinamento nelle acque siciliane, la scorsa primavera. D’altra parte, nei mesi precedenti la Marina Militare italiana e la Us Navy Americana, come spiegato dal sottosegretario alla Difesa Domenico Rossi, avevano sperimentato “miscele al 50% bioderivate e i risultati sono di grande auspicio anche per le altre marine dell’Alleanza Atlantica, riducendone la dipendenza dal petrolio”. Secondo quanto riferito, l’utilizzo del nuovo combustibile non ha inciso sulle prestazioni dei motori, come evidentemente i testi al centro ricerche Eni di San Donato Milanese avevano lasciato sperare. Nell’ottica della società amministrata da Claudio Descalzi si tratta di un traguardo, piccolo ma significativo. Prima invece è arrivata la decisione presa dal cane a sei zampe di investire 100 milioni di euro nella riconversione dell’impianto di Porto Marghera, a fronte dei 600 milioni necessari per l’apertura di uno nuovo, con una cinquantina di nuove assunzione a fronte dell’entrata in mobilità di 25 dipendenti con requisiti pensionistici. È stata inoltre definita una tabella di marcia con tanto di tavolo di coordinamenti per verificare, giorno per giorno, che il percorso di riconversione non venga rallentato dalla burocrazia di turno. Quanto alla politica, il presidente della Regione Veneto Luca Zaia non ha nascosto la propria approvazione per quello che è stato definito un “passo fondamentale” per Porto Marghera, in sostanza, “impegni concreti e non chiacchere”. Positivo anche il giudizio espresso, sempre in occasione della firma dell’intesa al Ministero dello Sviluppo Economico, da Andrea Martella, vice presidente del gruppo pd alla Camera: “È un punto di non ritorno. D’ora in avanti non ci saranno più scuse: gli impregni si devono trasformare in fatti concreti. Non c’è solo il carburante green nella svolta decisa dalla multinazionale italiana: “Saremo i primi al mondo a realizzare prodotti bio per la perforazione petrolifera”, ha annunciato l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi. È la terza scelta che va in questa direzione, dopo quelle di Porto Torres, riconversione basata sulla filiera del cardo. Resta il fatto che il mercato dei carburanti sembra puntare verso queste tecnologie, spinto anche dalla legislazione nazionale e comunitaria, in particolare le due direttive del 2009 sulla promozione dell’uso di energia da fonte rinnovabile, sulla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra (l’obiettivo è quello del 10% di utilizzo dei biocarburanti nel settore dei trasporti, entro il 2020). Il risultato è che, statistiche alla mano, la domanda di biofuels in Italia prevista per il 2025, sui 3,1 milioni di tonnellate, dovrebbe essere doppia a quella di tre anni fa e quindici volte più grande di quella datata 2005. Una crescita senza sosta, con l’eccezione del biennio 2010-2012, causa crisi. Si tratta allora di rendere il biocarburante vantaggioso anche per il consumatore, non solo dal punto di vista dei costi, ma anche per quanto riguarda l’efficacia, visto che alcuni carburanti verdi di vecchia generazione hanno portato in dote non pochi imprevisti: dal basso contenuto energetico alla tendenza all’accumulo – certo non particolarmente desiderabili – di microorganismi (il cosiddetto biofouling). Se Eni ha deciso di cambiare pelle allo stabilimento di Porto Marghera, la cui produzione soddisferà la metà del bisogno di green diesel dell’azienda, e perché si è detta convinta che il cosiddetto Hvo (Hydrotreated Vegetable Oil, o “green diesel”, appunto) non porterà brutte sorprese e che, anzi, la tecnologia Ecofining è in grado di adattarsi a eventuali leggi ancora più restrittive in materia, potendo utilizzare cariche di seconda e terza generazione (dai grassi animali agli oli da alghe). Il numero di cetano, così è chiamato l’indicatore del comportamento, in fase di accensione, dei combustibili – è più che soddisfacente, analisi alla mano. L’impegno della multinazionale italiana capitanata da Claudio Descalzi, per un’energia più pulita, prosegue anche su altri fronti. Un progetto di ricerca in corso a Novara ha come obiettivo la produzione di un bio-olio di qualità comparabile a quello dell’olio di palma: si sta pensando alla realizzazione di un impianto dimostrativo da circa 100 tonnellate all’anno. Un secondo indirizzo è legato alla coltivazione delle microalghe, anche qui per il recupero dell’olio contenuto. In questo caso, al di là della resa, è rilevante il fatto che, non servendo terreni agricoli, non c’è competizione con la filiera alimentare. Infine, un terzo progetto, sempre a Novare, è legato allo smaltimento dei rifiuti umidi, da trasformare in carburante. E chissà che, in futuro, non ci si debba fermare dal benzinaio per fare un pieno di spazzatura.
FONTE: Avvenire

AUTORE: Lorenzo Gallieni

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Categories: Innovazione

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