Nel sottosuolo italiano ci sono idrocarburi sufficienti ad assicurare allo Stato 40 miliardi di euro aggiuntivi in 20 anni, sotto forma di diritti di concessione, o, se preferite, due miliardi all’anno, la metà dell’Imu sulla prima casa. Basterebbe decidere di raddoppiare l’estrazione attuale. A sostenerlo è Giuseppe Recchi, 50 anni, presidente uscente di Eni e possibile futuro timoniere di Telecom, che su gas e petrolio ha scritto un libro: Nuove energie. Le sfide per lo sviluppo dell’Occidente (Marsilio, 157 pagine, 13 euro).

E un saggio sulla nostra difficoltà di adottare decisioni di lungo periodo?

«Quanto avviene attorno all’energia spiega che nulla, nella condotta degli Stati, accade per caso. La geopolitica nasce dalla necessità dei paesi di garantire il proprio sviluppo. L’energia è dunque una delle chiavi interpretative della storia, oltre alla tecnologia. Nel nostro settore abbiamo vissuto mutamenti pari a quel che Internet è stato per iI mondo delle comunicazioni».

Gli Stati Uniti vent’anni fa hanno deciso di essere autonomi dal punto di vista energetico e ce l’hanno fatta. Perché noi fatichiamo a definire il nostro interesse nazionale?

«Le aziende multinazionali sono organismi complessi, ma rispetto allo Statosono molto semplici. Nel dopoguerra esisteva un obiettivo condiviso: l’emancipazione dal bisogno. Le società benestanti hanno perso di vista il passo successivo. Siamo finiti così a inseguire obiettivi ideologici, convinti che bastino a mantenere  il nostro primato».

Si riferisce alle rinnovabili? Lei ha espresso un giudizio duro sulla politica dl incentivi, che ha portato l’ Italia a spendere nel 2012 oltre 10 miliardi di euro, il 18% del costodelle bollette per le famiglie.

«Chi non vuole aria più pulita?Ma il modo in cui abbiamo perseguito quest’obiettivo in Italia ha comportato effetti negativi più rilevanti delle conseguenze positive».

Guardando la cartina di oleodotti e gasdotti si vede come l’Europa non abbia una politica energetica comune. Ognuno ragiona per sé, non esistono interconnessioni.

«Il non saper attuare politiche federali che prevalgano sulle decisioni nazionali è uno dei problemi dell’Europa. II sistema bancario considera non finanziabile la costruzione digasdotti e oleodotti perché, attraversando Stati diversi, è impossibile garantire ai progetti un’uniformità giuridica di trattamento. Un caso simile è il rifiuto dello shale gas. Oggi lo stesso contenuto energetico di gas costa 4 dollari negli Usa e 10,5 da noi. Nonostante ciò, ci rifiutiamo di estrarre shale gas, abbiamo fatto della questione un totem. In America non sono meno ambientalisti di noi, eppure hanno affrontato il tema».

Cosa significa per lei sostenibilità energetica?

«Prendere atto che almeno per i prossimi 70 anni gli idrocarburi continueranno a essere al centro dei nostro fabbisogno. Si tratta di renderli accessibili e dl estrarli in modo sostenibile».

Algeria, Libia, Ucraina, Russia: questi sono alcuni dei nostri più importanti fornitori di gas. Paesi instabili. Abbiamo un problema?

«Abbiamo costruito la nostra sicurezza energetica differenziandoi fornitori. Se per ragioni geopolitiche o tecniche ne viene a mancare uno il sistematiene; ma se la rosa si restringe ancora, siamo in difficoltà».

Come si cambia questo scenario?

«L’Italia è un paese di idrocarburi. Produciamo circa ottantamilabarili al giorno e potremmoraddoppiare questa quota traBasilicata, sud della Sicilia emar Adriatico, con un incassodi 40 miliardi di euroin 20 anniper lo Stato, solo per le concessioni minerarie».

Ogni Italiano consuma tre litri dl petrolio al giorno. Tradieci anni?

«il consumo non diminuirà, anche se la tecnologia muterà  gliscenari: ad esempio la stampa 3D avrà un forte impatto sul modo in cui fabbricheremo prodotti. La rivoluzione oggi è nel digitale, ma continueranno a servire competenze e investimenti per l’industria pesante dell’energia».

FONTE: WIRED

AUTORE: MASSIMO RUSSO

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Categories: Energia

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