Venerdì 2 luglio le sconcertanti immagini e video di un gigantesco “occhio di fuoco” nel bel mezzo dell’oceano hanno fatto il giro del mondo diventando virali: nel golfo del Messico, a ovest della penisola dello Yucatan, è esploso un gasdotto sottomarino.
Nella Baia di Campeche una fuga di gas ha provocato l’esplosione di una pipeline della compagnia petrolifera statale Petroleos Mexicanos – conosciuta anche come Pemex – a circa 400 metri dalla piattaforma petrolifera Ku-Charly, all’interno del circuito Activo Integral de Producción Ku Maloob Zaap di Pemex dove arriva oltre il 40% dei 1,7 milioni di barili di greggio prodotti quotidianamente.
I soccorsi – tre imbarcazioni provviste di getti d’acqua e azoto – sono riusciti a domare il fuoco dopo oltre 5 ore dall’inizio dell’incendio. Secondo alcune fonti le valvole del gasdotto sono state chiuse interrompendo la continua dispersione di gas: “L’incidente è stato immediatamente preso in carico attivando i protocolli di sicurezza e con il supporto delle navi antincendio vicine come Isla Santa Cruz, Bahía de Campeche e Bourbon Alienor”, ha spiegato Pemex in una nota. Più tardi, il Presidente del Messico Andrés Manuel López Obrador ha dichiarato che sarà condotta un’indagine per determinare le vere cause dell’incidente.
Fortunatamente, a seguito dell’esplosione non è stato registrato nessun ferito sulla piattaforma, ma non è ancora stato reso noto un chiaro bilancio sui reali danni provocati all’ambiente: stando alle dichiarazione rilasciate da Ángel Carrizales – Direttore Esecutivo dell’Agenzia di Sicurezza, Energia e Ambiente – l’incidente non ha provocato nessuna fuoriuscita di petrolio.
“Secondo le informazioni disponibili – ha dichiarato Gustavo Ampugnani, Direttore Esecutivo di Greenpeace Messico – l’incidente avvenuto a 400 metri dalla piattaforma è stato dovuto al fatto che una valvola di una linea sottomarina a 78 metri di profondità è scoppiata, causando l’esplosione e l’incendio. Come parte del modello estrattivista dei combustibili fossili, questi sono i rischi che affrontiamo quotidianamente e che richiedono un cambiamento del modello energetico, come richiesto da Greenpeace”.
Greenpeace sostiene infatti che la produzione energetica messicana, fortemente incentrata sull’utilizzo dei combustibili fossili e palesemente troppo pericolosa non solo per l’ambiente, ma anche per le persone, debba essere cambiata a favore di un modello basato sulle energie rinnovabili.